Maya Cousineau Mollen è una
poetessa innu fortemente legata tanto alla
dimensione contemporanea quanto alle sue
origini autoctone, ed è
nell’intersezione di queste due sfere che conduce la propria
ricerca poetica. Nata nel 1975 nella riserva di Mingan (
Ekuanitshit in lingua innu), viene presto adottata da una famiglia quebecchese scelta dalla madre biologica. I genitori adottivi le consentono di mantenere il legame con le origini e con la sua famiglia innu, ma soprattutto la incoraggiano a perseguire la carriera da scrittrice: scrive le prime poesie all’età di quattordici anni. Molti dei suoi componimenti si possono leggere sui suoi social, ma sono stati anche raccolti in due sillogi,
Bréviaire du matricule 082 (Éditions Hannenorak, 2019) e
Enfants du lichen (Éditions Hannenorak, 2021).
Le
tradizioni della cultura di origine della poetessa occupano una posizione di grande rilievo nella sua produzione, affiancate a
una dimensione sociale più moderna (la questione ambientale, il femminismo e il colonialismo sono solo alcuni dei temi affrontati). Il tema messo maggiormente in risalto è, tuttavia,
la ricerca della propria identità: allontanata dalle proprie origini innu,
Maya perde il proprio nome e viene identificata come
matricule 082. La cifra si riferisce alla pratica di assegnare un numero di identificazione ai cittadini autoctoni, assimilati così a prodotti dotati di un codice a barre. Cousineau Mollen, al pari di tanti altri nella stessa situazione, viene così
privata della possibilità di conoscere sé stessa e di determinare la propria identità, che le viene invece attribuita dagli ex-colonizzatori.
Nei componimenti della prima raccolta viene esplorata l
a collera che scaturisce dalla rottura del legame con la terra natale, rappresentata non solo attraverso la messa a tema della questione identitaria, ma anche come un vero e proprio
distacco fisico dal territorio delle proprie origini. Tuttavia, è proprio questo allontanamento forzato che consente all’autrice di capirne l’importanza. Fondamentale per maturare questa consapevolezza sarà il ritorno alla terra natia, un mondo sfruttato e bistrattato dall’uomo bianco, ma che cela in sé
una grande forza distruttrice, la forza di un animale che è stato intrappolato per troppo tempo ed è finalmente riuscito a liberarsi e mostrarsi in tutto il suo splendore. Proprio come una belva liberata, Cousineau Mollen ha finalmente la possibilità di ammirarsi alla luce del sole, assumendo la sua vera identità, quella che le è stata rubata dai colonizzatori: “Io sono selvaggia, io sono donna”. Questo cambiamento non fa altro che accentuare l’ira dell’autrice, che ammonisce l’uomo bianco e colonialista che ha creduto di poterla possedere:
lei è fredda e temibile come il Nord, e niente potrà proteggere chi l’ha intrappolata dal suo furore.