almanacco internazionale
#8

L’abbraccio del mondo: tre poesie di Abdellatif LaÂbi

introduzione e traduzioni a cura di raphael louvet


“Nato presumibilmente nel 1942 a Fes. Le viuzze e i cimiteri. L’eredità, un bel fiasco. O meglio, un imbastardimento. Il paese pietrificato, tanto vale specializzarsi nell’ibernazione dei licheni. Ma ci sono le ascelle fulve, i tatuaggi, l’ignoranza che fa esplodere parole muscolose”.

Così descrive se stesso il poeta e traduttore marocchino Abdellatif Laâbi, in occasione della pubblicazione del primo numero della rivista Souffles, nel 1966. Nel giro di qualche numero, questa rivista collettiva dove compaiono voci tra le più importanti del nuovo spazio letterario marocchino (Mohammed Khaïr-Eddine, Mostafa Nissaboury) fa saltare in aria i codici letterari e morali del Marocco conservatore di re Hassan II. Interrogandosi su questioni come l’uso del francese e lo statuto dello scrittore colonizzato, questi scrittori criticano l’immobilismo della cultura nazionale e le nuove narrazioni nazionaliste del giovane Marocco decolonizzato, che paralizzano l’espressione letteraria. La rivista presto si apre a posizioni terzomondiste, accogliendo intellettuali e scrittori. La reazione, però, non si fa attendere: nel 1971, Abdellatif Laabi viene torturato e incarcerato. Quando esce di prigione, otto anni più tardi, si esilia in Francia e si stabilisce a Créteil, nella banlieue parigina, dove attualmente vive con la moglie Jocelyne Laâbi.

La sua è una poesia profondamente impegnata nelle lotte per l’emancipazione, in modo particolare contro l’oppressione del regime marocchino, e viene concepita come una risposta risoluta al “regno della barbarie”. Laâbi vi affronta la questione dell’esilio, ma anche quella del difficile ritorno al paese natale, qui presente nelle poesie tradotte da Le Spleen de Casablanca. Nonostante questo peso, la ricerca poetica di Abdellatif Laâbi è un percorso di umanità e la sua scrittura è sempre carica di speranza. La lingua viene concepita come uno spazio di resistenza e di ospitalità - un luogo dove riprendere fiato -, dove l’esiliato crea una patria sognata, un “sole fraterno” e una libertà inalienabile.  

Dopo le prime poesie sulla rivista Souffles, Abdellatif Laâbi ha pubblicato numerose raccolte, tra le quali vale la pena citare Sous le bâillon le poème (1981), scritta in prigione, L’Étreinte du monde (1993), Le Spleen de Casablanca (1996)  e Les fruits du corps (2003), un’esplorazione del desiderio e della sessualità. Si è speso molto anche nel ruolo di “mediatore” di poeti siriani e palestinesi, pubblicando per Les Éditions de Minuit due magnifiche traduzioni del grande poeta palestinese Mahmoud Darwich, Rien qu’une autre année (1983) et Plus rares sont les roses (1989). Più recentemente, ha pubblicato per la casa editrice Points una Anthologie de la poésie palestinienne d’aujourd’hui (2022), che ha il merito di far conoscere al pubblico francese le voci di una nuova generazione di poeti e poete.



da L’Étreinte du monde (1993)
En VAIN j'Émigre


J’émigre en vain

Dans chaque ville je bois le même café

et me résigne au visage fermé du serveur

Les rires de mes voisins de table

taraudent la musique du soir

Une femme passe pour la dernière fois

En vain j’émigre

et m’assure de mon éloignement

Dans chaque ciel je retrouve un croissant de lune

et le silence têtu des étoiles

Je parle en dormant

un mélange de langues

et de cris d’animaux

La chambre où je me réveille

est celle où je suis né

J’émigre en vain

Le secret des oiseaux m’échappe

comme celui de cet aimant

qui affole à chaque étape

ma valise

 



EMIGRO INVANO


Emigro invano

In ogni città bevo lo stesso caffè

e mi rassegno al volto chiuso del cameriere

Le risate dei miei vicini di tavolo

inseguono la musica della sera

Una donna passa per l’ultima volta

Invano emigro

e mi assicuro di essere lontano

In ogni cielo ritrovo una falce di luna

e il silenzio testardo delle stelle

Parlo nel sonno

una miscela di lingue

e grida di animali

La stanza in cui mi sveglio

è quella dove sono nato

Emigro invano

Il segreto degli uccelli mi sfugge

come quello di questa calamita

che incalza ad ogni tappa

la mia valigia


La langue de ma mÈre


Je n’ai pas vu ma mère depuis vingt ans

Elle s’est laissée mourir de faim

On raconte qu’elle enlevait chaque matin

son foulard de tête

et frappait sept fois le sol

en maudissant le ciel et le Tyran

J’étais dans la caverne

là où le forçat lit dans les ombres

et peint sur les parois le bestiaire de l’avenir

Je n’ai pas vu ma mère depuis vingt ans

Elle m’a laissé un service à café chinois

dont les tasses se cassent une à une

sans que je les regrette tant elles sont laides

Mais je n’en aime que plus le café

Aujourd’hui, quand je suis seul

j’emprunte la voix de ma mère

ou plutôt c’est elle qui parle dans ma bouche

avec ses jurons, ses grossièretés et ses imprécations

le chapelet introuvable de ses diminutifs

toute l’espèce menacée de ses mots

Je n’ai pas vu ma mère depuis vingt ans

mais je suis le dernier homme

à parler encore sa langue


la lingua di mia madre


Non vedo mia madre da vent’anni

Si è lasciata morire di fame

Raccontano che si togliesse ogni mattina

il fazzoletto dalla testa

e colpisse sette volte a terra

maledicendo il cielo ed il Tiranno

Ero nella caverna

lì dove il galeotto legge nelle ombre

e dipinge sulle pareti il bestiario del futuro

Non vedo mia madre da vent’anni

Mi ha lasciato un servizio da caffè cinese

con le tazze che si rompono una a una

e sono così brutte che non le rimpiango

Ma il caffè, lo amo di più

Oggi, quando sono solo

prendo in prestito la voce di mia madre

o meglio, è lei che mi parla nella bocca

con le sue parolacce, le volgarità e le imprecazioni

l’introvabile rosario dei suoi diminutivi

tutta la specie minacciata delle sue parole

Non vedo mia madre da vent’anni

ma sono l’ultimo uomo

che parla ancora la sua lingua


da Le spleen de casablanca (1996)
Le spleen de casablanca


Dans le bruit d’une ville sans âme

j’apprends le dur métier du retour

Dans ma poche crevée

je n’ai que ta main

pour réchauffer la mienne

tant l’été se confond avec l’hiver

Où s’en est allé, dis-moi

Le pays de notre jeunesse ?

*

Ô comme tous les pays se ressemblent

et se ressemblent les exils

Tes pas ne sont pas de ces pas

qui laissent des traces sur le sable

Tu passes sans passer

*

Visage après visage


meurent les ans

Je cherche dans les yeux une lueur

un bourgeon dans les paroles

Et j’ai peur, très peur

de perdre encore un vieil ami

*

Je me sentirai perdu


à tout âge

*

Je ne suis pas ce nomade


qui cherche le puits

que le sédentaire a creusé

Je bois peu d’eau

et marche

à l’écart de la caravane

*

Le siècle prend fin


dit-on

et cela me laisse indifférent

Quoique le suivant

ne me dise rien qui vaille

*


Dans la cité de ciment et de sel


ma grotte est de papier

J’ai une bonne provision de plumes

et de quoi faire du café

Mes idées n’ont pas d’ombre

pas plus d’odeur

Mon corps a disparu

Il n’y a plus que ma tête

dans cette grotte de papier

*

J’essaie de vivre


La tâche est ardue












Lo spleen di casablanca


Nel rumore di una città senz'anima

imparo il difficile mestiere del ritorno

Nella tasca bucata

non ho che la tua mano

per riscaldare la mia

tanto l'estate si confonde con l'inverno

Dove se n’è andato, dimmi

Il paese della nostra gioventù ?

*


Oh come tutti i paesi si assomigliano

e si assomigliano gli esilii

I tuoi passi non sono quel tipo di passi

che lasciano tracce sulla sabbia

Passi senza passare

*

Viso dopo viso

Muoiono gli anni

Cerco negli occhi un barlume

un germoglio nelle parole

E ho paura, molta paura

di perdere ancora un vecchio amico

*

Mi sentirò perso

a qualsiasi età

*


Non sono quel nomade

in cerca del pozzo

che il sedentario ha scavato

Bevo poca acqua

e cammino

discosto dalla carovana

*

Il secolo sta per finire

dicono

e ciò mi lascia indifferente

Per quanto il prossimo

non mi dica nulla di buono

*

Nella città di cemento e di sale

la mia grotta è di carta

Ho una buona riserva di penne

e ciò che serve per fare il caffè

Le mie idee non hanno ombra

Nemmeno odore

Il mio corpo è scomparso

C’è solo la mia testa

in questa grotta di carta

*

Cerco di vivere

Il compito è arduo