ALMANACCO #14

Su "poesie per giovani adulti" DI michele zaffarano

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di andrea ragazzo

[Pubblicato nel giugno 2022 nella collana diretta da Monica Romano «Assemblaggi e sdoppiamenti», a cura di Scalpendi Editore.]

 

I. Partirei dal presupposto (tutto sommato ormai scontato) che una “ricerca” poetica programmatica non possa essere avvalorata da un’interpretazione immediata di contenuto. Ossia: la parola qui è data in dissolvenza; la lettura consuma, e sulla linea autore-lettore «quel che sta dietro è meglio di ciò che passa attraverso» [1]. La ricezione si svuota di senso, e si riattiva nel definirsi progressivo di un ristretto orizzonte formale («quel che sta dietro») entro cui il lettore è costretto a muoversi. Piuttosto che interrogare quanto il testo stia dicendo, dunque, sembrerebbe opportuno cercare di cogliere come funzioni il dispositivo attivato, e che spazio circoscriva al lettore.


II. L’assertività del libro non è mai descrittiva, ma al contrario fondata sulla sfiducia nella descrizione che si sta facendo. Se il testo sembra comunicare qualcosa, lo fa quasi autonomamente, a distanza dagli intenti dell’autore. Ed è su questo allontanamento che si fonda l’ironia percepita. L’assertività percepita, invece, è soltanto un espediente come un altro per scrivere qualcosa.


III. L’«esaurimento di un concetto affatto contemporaneo di lirica» – questa la “ricerca” in questione, così proposta nel sottotitolo – passa per l’esaurimento del corpo nella versificazione. Toccherà scomodare Petrarca, ma la lirica è affare suo: sarà sufficiente prestare orecchio a un qualsiasi sonetto dal Canzoniere per entrare in contatto con l’estrema complessità ritmica soggiacente al testo. La fatica che ne deriva al momento dell’esecuzione costringe in molti casi a rallentare, a sospendere la comprensione testuale nel tentativo di capire – sentire – come pronunciare i versi in questione. In questo avvicinamento sensibile alla lingua prima ancora che al discorso, il lettore si ritrova a contatto con l’«enorme densità psicologica» di un ritmo che è «quanto di più fisico, diretta emanazione del corpo di chi scrive, […] si possa immaginare» [2]. Il verso di Petrarca ha qualcosa di profondamente corporeo. La versificazione del libro di Zaffarano spinge in direzione opposta: gli accenti sono pochi, spesso riproposti verticalmente, con ritmi ripetitivi; l’esecuzione è molto veloce (nonché la lettura che ne fa l’autore); i versi sembrano quasi lanciati, non sorvegliati nella misura, senza punteggiatura, inseriti artificialmente uno dopo l’altro. L’effetto ottenuto è il silenziamento di quanto possa esserci di corporeo nel ritmo.


IV. Lo spazio del lettore è ridotto a una specie di camera insonorizzata [3], in cui anche la minima produzione di suono, laddove ci sia, disperde nell’immediato, senza riflessione, né risonanza. Il ritmo, così programmaticamente messo a tacere, qui, spoglia il linguaggio mostrando le sue slogature, i suoi giri a vuoto. Nel consegnare questo spazio chiuso e senza rumori, nella privazione del corpo, l’esaurimento della lirica.

 

 

A

 

A un certo punto

mi faccio la domanda

se sono capace

che scrivo una poesia

e dentro vi metto

mia sorella

mio padre

mia madre

mio cognato

i miei nipoti

e che dentro

assieme di loro

vi metto anche

la mia forse

futura prossima

magari fidanzata

e cos’è mai che racconto

che raccolgo assieme

tutte queste persone

e le faccio entrare

a una stessa poesia

e le metto per bene

in contemporanea

con la mia prossima

futura spero fidanzata

che infatti penso

se non lo faccio

lei non lo sa mai

di questa gente

che mi stanno vicini

e mi vogliono bene

e se lo faccio invece

però in maniera mala

mi aumenta molta

la consapevolezza

di me incapace

che scrivo una poesia

che vi stanno tutti dentro

e alla fine mi viene

tanto di tristezza

e di disperazione

che lei allora

vi ha la scusa

a quel punto

e dicendo parla

sei immeritevole

che io divento

la tua prossima

futura a venire

forse fidanzata.

 

 

 

[1] M. Zaffarano, Wunder-kammer, ovvero Come ho imparato a leggere, in Prosa in prosaTic edizioni, Roma 2020, p. 107.

[2] S. Dal Bianco, L’endecasillabo del Furioso, Pacini Editore, Pisa 2007, p. 28.

[3] Cfr. S. Colangelo, TwentyTwenty Extended Conference, 2 febbraio 2021.